Dopo il ritorno nella sua terra d’origine, finalmente ‘Barbablu’, la statua che rappresenta il volto di Ade e che deve il suo nome alla originale pigmentazione della barba, sarà in esposizione e fruibile dal pubblico a partire da Mercoledi 11 Maggio presso il Museo Regionale Salinas di Palermo.
Una esposizione temporanea, in attesa della sua definitiva collocazione nel Museo di Aidone che possiede già un altro dei capolavori più belli mai ritrovati in Sicilia, la Venere di Morgantina.

 

In mostra fino al 29 maggio 2016
Orari: mar-dom 9.30-19.00
Ingresso libero

 

Un thriller internazionale per una storia a lieto fine

Se George Clooney volesse cimentarsi in un remake di Monuments Men stavolta potrebbe scegliere, come interpreti, due donne siciliane dalla tenacia e dalla passione invincibile.

La Testa di Ade fu ‘prelevata’ dai tombaroli nella saccheggiata area archeologica di Morgantina.

Quello che questi gentili signori non potevano sapere è che quattro dei ‘riccioli’ della barba erano ancora sotterrati, per essere scoperti sono molti anni dopo. E quando le nostre due paladine hanno cominciato a chiedersi a chi appartenessero, la loro indagine le ha condotte sino a una splendida villa di Malibù, sede del Getty Museum,  dove hanno scoperto che un ricciolo di quel faccione barbuto, rinvenuto nei magazzini a due passi da Enna, combaciava perfettamente con il resto di un’opera volata Oltreoceano.

Lucia Ferruzza
Lucia Ferruzza

‘È stata la nostra scarpetta di Cenerentola’

«È stata la nostra scarpetta di Cenerentola», commenta divertita Lucia Ferruzza, una delle due archeologhe da vent’anni in servizio ai Beni culturali della Regione siciliana. Pronta a ricordare come cominciò la storia a lieto fine che culmina nella restituzione e nel ritorno a casa della preziosa testa chiamata ormai da tutti Barbablù. Un soprannome affibbiato da Serena Raffiotta, l’altra archeologa nata e cresciuta a due passi da Morgantina, ad Aidone, il padre per vent’anni impegnato nella lotta ai tombaroli come procuratore della Repubblica di Enna. «Sì, sono stata allevata a pane a terrecotte», sorride Serena mostrando la sua tesi di specializzazione all’università di Catania, la stessa che nel 2007 fece scattare la prima scintilla quando a un convegno Lucia Ferruzza si trovò a sfogliarla.

Serena Raffiotta
Serena Raffiotta

Il reperto-indizio.

Perché Serena aveva dedicato una pagina a un reperto che l’aveva incuriosita: «Uno straordinario ricciolo blu. Scovato nei meandri del santuario extraurbano di San Francesco Bisconti a Morgantina». E Lucia scrutandolo pensò subito a quella testa vista per la prima volta nel 1987, anno di una prima borsa di studio e di una visita al Getty: «C’ero poi tornata nel 2000, incaricata dal museo di una ricerca sulle terrecotte. Cominciando dalla misteriosa testa indicata come gioiello proveniente genericamente dall’Italia meridionale e, come si leggeva nel cartellino sotto la teca, “probably Zeus”».

Al via l’indagine

Da allora le vite della figlia del procuratore di Enna e dell’archeologa con ufficio a Palermo non si sono più separate. Impegnate a convincere sovrintendenti, assessori, carabinieri, ambasciatori e mediatori a credere nella loro tesi. Un modo per «costringere» il Getty ad avviare una trattativa, mentre ne era già partita un’altra conclusa qualche anno fa con il ritorno di una preziosa scultura, la Venere di Morgantina. «Abbiamo ricostruito il viaggio della testa rubata», racconta Serena pensando al lavoro del padre, Silvio Raffiotta. Furono le sue indagini, supportate fino alle ultime settimane dal nucleo Tutela patrimonio culturale dei carabinieri, a fare identificare testimoni e intermediari, compreso l’antiquario di Londra, Robin Symes, che aveva venduto la testa al collezionista miliardario Maurice Tempelsman, l’ultimo compagno di Jacqueline Kennedy che poi incassò 530 mila dollari dal Getty.

Convinto il Getty Museum

«Gli esperti del Getty non erano convinti della nostra tesi. Vennero in Sicilia. Si dovette fare un calco del ricciolo, frattanto esposto al museo di Aidone. A Los Angeles capirono che forse avevamo visto giusto. Ma ci voleva la controprova. E partì per la California il ricciolo originale, con il direttore del museo, Enrico Caruso, delegato alla verifica, entusiasta al telefono: “Calza benissimo”». Appunto, come nella favola di Cenerentola, era il ricciolo di Barbablù.

fonte: Corriere della Sera